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BAMBINI E DISTURBI PSICOLOGICI, UN APPROCCIO RELAZIONALE

 

Venerdì scorso ero al bar a fare colazione, apro il giornale e trovo questo titolone VIVACI NON MALATI.

Negli stati uniti l'uso di psicofarmaci nei bambini ha raggiunto dati allarmanti. Uno studio appena pubblicato ha registrato un notevole incremento nell'uso degli psicofarmaci per i più piccoli negli ultimi 15 anni, con il numero dei bambini che li assumono che risulta essersi triplicato.

 

Secondo la ricerca, i cui risultati sono stati resi noti dal Washington Post, più del 6% dei bambini americani attualmente  prende farmaci per il comportamento come Ritalin, Risperdal e  anche il Prozac, che nei giorni scorsi ha ricevuto dalla Fda - l'agenzia federale che vigila sui farmaci - l'approvazione all' uso anche al di sotto dei 17 anni.

In Italia 35.000 bambini assumono psicofarmaci.

Le diagnosi di disturbo iperattività o di d. Oppostivo provocatorio sono sempre più in aumento.

 

Da una parte questo è dovuto alla migliorata capacità del sistema scolastico e dei sanitari di fare diagnosi e riconoscere sempre prima e sempre con maggior precisione i disturbi psicologici nei bambini. Esiste però anche un fenomeno di eccesso di patologizzazione. Come clinico trovo fondamentale che si riesca a fare diagnosi, poiché dare un nome al disturbo significa capire contro cosa dobbiamo focalizzare le nostre energie, stabilire piani di intervento specifici, capire quali strategie comportamentali sono più adeguate verso quel bambino. Ma c'è un enorme rischio, che non dobbiamo sottovalutare. Se fra noi sanitari dare un nome alla patologia chiarisce la situazione e favorisce un corretto approccio, quando si tratta invece di comunicare con altri professionisti, con la scuola o con i genitori, il nome del disturbo rischia di diventare un'etichetta, un peso pregiudizievole. Trattare il bambino come malato, farlo sentire diverso, ridurre aprioristicamente gli stimoli e le aspettative pensando che non possa farcela, rassegnarci al fallimento o darsi un alibi per impegnarci meno.

Per non parlare dell'uso dei farmaci, che nei bambini dovrebbero essere utilizzati in rarissimi casi.

 

Come psicologa, e madre, sento la responsabilità di ricordare a tutti che l'origine dei disturbi comportamentali e psicologici nei bambini spesso si trova nel sistema famigliare. Per quanto possiamo essere innamorati dei nostri figli non sempre ciò che facciamo è di aiuto, a volte reagiamo d'impulso, a volte non ci rendiamo conto che ciò che diciamo è pericoloso, e che lo stile di vita e le scelte che facciamo mettono a dura prova i nostri figli. Come clinica e come madre preferisco pensare che il disturbo non è una malattia. Ma la miglior risposta di una mente al sistema in cui è immerso. Abbiamo un' enorme responsabilità. Forgiamo la mente e l'identità dei nostri figli. Esiste un "tratto" genetico che possiamo chiamare temperamento, ma il carattere e la personalità del bambino si formano nel proprio ambiente relazionale.

 

Ma se è vero che nella famiglia ha origine il disturbo, ricordiamoci che attraverso la famiglia arriverà la "guarigione". La famiglia prima di tutto può rendersi conto del problema, può chiedere aiuto, e guidata dagli specialisti può trasformarsi, modificare le proprie dinamiche patologizzanti, valorizzare le proprie risorse.

Dicendo tutto questo non voglio torturare me stessa, e voi, con il peso del senso di colpa, ma spronare tutti a mettersi sempre in discussione, a non avere paura a chiedere aiuto, a chiedere subito, ai primi segnali di disagio del bambino. Troppo spesso arrivano da me famiglie dopo anni di sintomi, che ormai si stanno cronicizzando e arrivano con il pensiero magico.. la domanda implicita.. "salvalo tu dottoressa". Non sono io da sola a poterlo aiutare. Il mio lavoro è essere quello strumento che aiuta i genitori a comprendere cosa è nocivo e cosa invece è prezioso. Comprendere dove nascono certe dinamiche e aiutare i genitori stessi a guarire le proprie ferite.

 

Fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo.

 

Vi prego non etichettate vostri figli. Non sono loro il problema. Ma noi. Le nostre fragilità, i nostri limiti, le nostre paure, il nostro eccessivo orgoglio, le nostre ferite emotive.

 

Prendetevi cura di voi stessi, delle vostre emozioni, delle vostre relazioni, del vostro stile di vita, e sarà molto più alta la possibilità di avere sempre più risorse per i vostri figli. E dove non riusciamo, dove ci sembra di esserci perduti, o dove i nostri figli ci "dicono" (con il loro comportamento ed emotività) mamma papà non sto bene, chiediamo aiuto. 

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Commenti: 1
  • #1

    Maria (venerdì, 29 giugno 2018 21:39)

    Mi scuso per la forma ma non ho a disposizione un pc , per redarre in modo corretto rispettando forma logica e tempi, in quanto sll’estero c corso di aggiornamento sull’efficacia della Relazione terapeutica in fede

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