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LA PSICOSOMATICA

I conflitti psicologici e le emozioni possono essere all’origine sia di alterazioni funzionali che di malattie organiche, ma non attraverso un meccanismo simbolico, bensì legato alla stimolazione esasperata delle funzioni vegetative.

 

Negli anni '50 si parla di "personalità psicosomatica", un apersonalità caratterizzata da alcuni deficit che impediscono l’elaborazione psicologica adeguata di emozioni e traumi, per cui questi si esprimerebbero nel corpo. In questi individui si riscontrava un pensiero operatorio con carenza di fantasie e creatività, privo di emozioni.

Molti pazienti affetti da malattie psicosomatiche manifestavano una notevole difficoltà nel riconoscere ed esprimere verbalmente le proprie emozioni. Spiegò questa difficoltà come una scarsa integrazione fra corteccia cerebrale, sede dei processi cognitivi, e sistema limbico, responsabile dell’attività emotiva.

 

Negli anni 70 si parla di ALEXITIMIA alexitimia, che era caratterizzata da:

- difficoltà a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni;

- incapacità a distinguere con chiarezza i sentimenti dalle sensazioni corporee legate all’attività emotiva;

- scarsità di fantasia ed immaginazione;

- stile cognitivo molto pratico e poco introspettivo, orientato verso il mondo fisico e l’azione piuttosto che verso il pensiero.

 

Tra i motivi di origine della malattie psicosomatiche c'è un livello elevato di stress psicologico.

Lo stress è una reazione di tipo adattivo che l’organismo attua per affrontare i diversi momenti e cambiamenti della vita. Questa reazione può diventare fonte di malattia quando si manifesta per molto tempo, quando lo stress è vissuto in solitudine, quando non si hanno adeguate valvole di sfogo.

Richard Lazarus parlò di stress psicologico per indicare la condizione nella quale la reazione allo stress dipende essenzialmente dalla valutazione soggettiva data dall’individuo. Condizioni stressanti apparentemente simili possono perciò assumere un significato diverso da persona a persona.

Per George L. Engel gli eventi stressanti possono essere fondamentalmente tre:

1) Una perdita o una minaccia di perdita

2) Un danno o la minaccia di un danno

3) La frustrazione di un bisogno

 

Non da ultimo, il rapporto con la propria famgilia di orgine predispone allo sviluppo di malattie psicosomatiche. Salvador Minuchin teorizzò l'esistenza della famiglia psicosomatica, con una costellazione di sintomi ben precisa (invischiamento, iperprotettività, rigidità, evitamento del conflitto)....

 

 

Il termine psicosomatico è di origine piuttosto recente. Fu coniato nel 1818 dal medico psicologo J.C. Heinroth che sentì il bisogno di riunire il concetto di mente e corpo, per reagire alla tendenza eccessiva alla separazione che si stava riscontrando nella cultura scientifica dell’epoca. Nel 1822 il medico organicista K.W. Jacobi propose il termine somato-psichico per indicare l’influenza delle esperienze corporee sull’attività psichica. In entrambi i casi si cercava di riunire ciò che era stato a lungo separato, ma si privilegiava inevitabilmente uno dei due poli del problema: psiche o soma?

Con gli anni la parola psicosomatico è stata utilizzata nei contesti più disparati divenendo uno di quei concetti che rischiano di essere così vaghi da voler dire tutto o niente nello stesso tempo. E’ necessario quindi fare una piccola digressione teorica per chiarire i significati che il termine assume in contesti clinici o di ricerca.

1) MALATTIA PSICOSOMATICA: Può riferirsi alla convinzione che un disturbo corporeo abbia un origine psicologica. In questo senso assume il significato di “psicogeno”. Un conflitto emotivo, per esempio può essere considerato la causa di una malattia alla stessa stregua di un batterio con un infezione. Si evidenzia quindi ancora un’ottica lineare, in una spiegazione che appare semplicistica.

2) SINTOMI PSICOFISIOLOGICI: indica l’influenza delle emozioni e dello stress sui processi corporei, all’interno di una prospettiva multifattoriale anche se sostanzialmente legata ancora ad una concezione causale lineare.

3) SOMATOPSICHICO: si richiama al contrario all’influenza che i processi corporei possono avere sulla psiche; una malattia può ad esempio interferire notevolmente con la qualità della vita di una persona favorendo disturbi emotivi.

4) SINDROME FUNZIONALE O DISTURBO DI SOMATIZZAZIONE: indica le condizioni chimiche in cui la funzione di un organo o un apparato è alterata ma non si evidenziano cause organiche, la valutazione è in questo caso fatta su un criterio di esclusione. Si presume in modo generico che la condizione sia la conseguenza di una sofferenza emotiva oppure dello stress.

5) PERSONALITA’ PSICOSOMATICA: alcuni studi hanno evidenziato la correlazione fra particolari tipi di personalità e lo sviluppo di malattie; è il caso della personalità con comportamento di tipo C (connessa con il cancro), la personalità con comportamenti di tipo A (disturbi coronarici) o ancora dell’ALESSITIMIA che predisporrebbe a disturbi psicosomatici.

6) FAMIGLIE PSICOSOMATICHE: allude al significato comunicativo che il sintomo può assumere, oppure indicare una modalità relazionale caratteristica di una famiglia nella quale uno o più membri sono predisposti ad ammalarsi somaticamente.

7) MODELLO BIO-PSICO- SOCIALE: una modalità di approccio in base alla quale i problemi umani vengono studiati considerando livelli e sistemi differenti di tipo biologico, psicologico, sociale e ambientale. Fu proposto da George L. Engel ed è oggi considerato uno degli orientamenti più influenti della psicosomatica moderna.

 

1.1 I CONFLITTI PSICOLOGICI

Il concetto di conflitto psicologico è essenzialmente di matrice psicanalitica. Non si riprendono in questa sede i concetti freudiani di conflitti inconsci, meccanismi di difesa ed isteria.

Il più importante contributo alla teoria freudiana sui disturbi corporei è venuto da Franz Alexander dei primi del ‘900, in cui affrontò il problema dell’origine delle malattie secondo una prospettiva multifattoriale. La costituzione ereditaria, i traumi subiti alla nascita o successivamente, la vulnerabilità degli organi le malattie precedenti, il tipo di cure ricevute, il clima familiare, le esperienze affettive, lavorative e sociali assieme all’ambiente sono fattori da considerare in tutte le malattie. Per Alexander i conflitti psicologici e le emozioni possono essere all’origine sia di alterazioni funzionali che di malattie organiche, ma non attraverso un meccanismo simbolico, bensì legato alla stimolazione esasperata delle funzioni vegetative.

Il gruppo di Chicago da lui guidato condusse molte ricerche sullo studio tra conflitti emotivi specifici e patologie mediche e identificarono un gruppo di malattie psicosomatiche: artrite reumatoide, asma bronchiale, ulcera peptidica, ipertensione essenziale, dermatite atopica, ipertiroidismo, e rettocolite ulcerosa. Successivamente inclusero anche i principali disturbi gastrointestinali, respiratori, cardiovascolari, dermatologici, metabolici, endocrini, osteoarticolari e sessuali. Da un punto di vista psicologico riuscì a evidenziare in molte malattie digestive la presenza di un conflitto sull’asse dipendenza –indipendenza, tra il desiderio di essere amati e accuditi e sviluppare una propria autonomia.

Ad oggi la teoria della specificità del conflitto su specifiche malattie è stata ridimensionata, anche se conserva un certo valore storico.

 

1.2 LA PERSONALITA’

Nel ‘900 Helen Flanders Dunbar, psicoanalista proveniente da studi religiosi, fece diverse ricerche nel campo della personalità connessa con disturbi somatici e teorizzò l’esistenza di una personalità che predisporrebbe a disturbi coronaropatici (paziente ambizioso, determinato, autodisciplinato, propenso ad assumersi responsabilità, dedito al lavoro, capace di grandi rinunce, rivolto al futuro e al successo). I dati raccolti furono oggetto di numerose critiche.

Alla fine degli anni ‘50 Meyer Friedman e Raymond Roseman partendo dalle teorie della Dunbar sostennero che uno specifico stile di comportamento, chiamato di tipo A fosse associato a livelli alti di colesterolo nel sangue, un aumento dei tempi di coagulazione e quindi a una predisposizione a sviluppare malattie coronariche. I tratti di questo stile di personalità erano soprattutto l’ambizione, l’ostilità, la tendenza a rimuginare, la ricerca di successo che porta a vivere in uno stato di tensione senza tregua.

Le caratteristiche contrarie vennero chiamate comportamento di tipo B, ed erano presenti nelle persone meno esposte alle malattie cardiovascolari.

Oggi si sa che vi sono altri fattori emotivi e comportamentali responsabili dello sviluppo di tali malattie, come la depressione, il fumo di sigaretta, l’inattività fisica, l’obesità, lo stress sociale..

Nello stesso periodo Morris, Temoshok e Heller ipotizzarono l’esistenza di una personalità di tipo C, esposta al rischio di cancro. Si tratterebbe di persone rinunciatarie, passive, tendenzialmente tristi, portate a reprimere rabbia e aggressività. Da un punto di vista fisiopatologico sono state riscontrate in queste persone alterazioni di natura neuroendocrina (aumento dell’attività parasimpatica) e immunitaria (diminuzione dei linfociti natural killer la cui funzione è il riconoscimento e distruzione delle cellule tumorali), aspetti che riducono le difese dell’organismo predisponendolo allo sviluppo del cancro. L’ipotesi fu sottoposta a verifica con diverse ricerche, alcune delle quali ad opera della stessa Lydia Temoshok che utilizzò un’apposita intervista video registrata. Gli studi sembravano confermare questo modello, ma la psicosomatica oncologica rimane ancora un campo in gran parte inesplorato.

 

1.3 LE EMOZIONI

Le prime osservazioni riguardo la relazione tra l’espressione emotiva e lo sviluppo di malattie risalgono alla metà del ‘900 quando lo psichiatra Jurgen Ruesch in un articolo pubblicato sulla rivista “Psychosomatic medicine” descrisse in alcuni suoi pazienti affetti da malattie psicosomatiche alcune caratteristiche psicologiche e comportamentali comuni: uno stile di pensiero infantile con fantasie primitive, la tendenza all’imitazione e allo sviluppo di relazioni di dipendenza, un modo di esprimersi gestualmente e verbalmente, scarsamente legato alle emozioni e un atteggiamento sociale eccessivamente conformistico. Ruesch chiamò questo insieme di caratteristiche personalità infantile.

In quegli stessi anni Paul Mac Lean un ricercatore che stava lavorando sull’ipotesi dello sviluppo del cervello umano (cervello trino: cervello rettiliano – tronco encefalico – funzioni vitali di base; cervello dei paleomammiferi – sistema limbico – emozioni ; cervello dei neomammiferi – neocorteccia – conoscenza, parola, coscienza, simbolizzazione, decisionalità..) notò che molti pazienti affetti da malattie psicosomatiche manifestavano una notevole difficoltà nel riconoscere ed esprimere verbalmente le proprie emozioni. Spiegò questa difficoltà come una scarsa integrazione fra corteccia cerebrale, sede dei processi cognitivi, e sistema limbico, responsabile dell’attività emotiva.

Verso la fine degli anni ‘50 alcuni ricercatori guidati da Pierre Marty pubblicarono una serie di osservazioni tratte da psicoterapie condotte su pazienti affetti da patologie mediche. Ipotizzarono l’esistenza di una personalità psicosomatica caratterizzata da alcuni deficit che impediscono l’elaborazione psicologica adeguata di emozioni e traumi, per cui questi si esprimerebbero nel corpo. In questi individui si riscontrava un pensiero operatorio con carenza di fantasie e creatività, privo di emozioni.

Fino agli anni ’70 questo pensiero non ebbe credito, poi Peter Sifneos e Jhon Nemiah, due psicanalisti di Boston, attraverso lo studio di trascrizioni letterali di colloqui con pazienti affetti da malattie psicosomatiche classiche riscontrarono una serie di tratti comuni, che chiamarono alexitimia, che era caratterizzata da:

difficoltà a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni;

- incapacità a distinguere con chiarezza i sentimenti dalle sensazioni corporee legate all’attività emotiva;

- scarsità di fantasia ed immaginazione;

- stile cognitivo molto pratico e poco introspettivo, orientato verso il mondo fisico e l’azione piuttosto che verso il pensiero.

L’alessitimia è generalmente considerata una caratteristica stabile della personalità, spesso associata al sesso maschile, a basso livello culturale, basso livello socio-economico, debolmente associato all’avanzare dell’età. Vi sono anche teorie non solo socioculturali ma anche neurobiologiche, le quali suggeriscono che questa condizione può essere correlata all’interruzione della comunicazione limbica- neocorticale, o che possa risultare da un deficit nella comunicazione interemisferica o da una disfunzione dell’emisfero destro. Dal punto di vista psicologico si afferma che la crescita in un ambiente privo di stimoli emozionali, un rapporto materno incapace di far prendere coscienza delle emozioni, o un trauma psicologico importante nella storia passata siano fondamentali per lo sviluppo di questa patologia. Più recentemente è stato suggerito che a determinare l’alessitimia ci sia un deficit nel processo cognitivo e nella regolazione delle emozioni; per cui la scarsa capacità di prendere consapevolezza delle emozioni e di farvi fronte renderebbe gli individui alessitimici vulnerabili agli stress continui.

Oggi la presenza di tratti alessitimici viene ritenuta un importante fattore di rischio psicosomatico.

 

1.4 LO STRESS

Lo stress è uno stato di tensione dell’organismo in cui vengono attivate difese per far fronte a una situazione di minaccia.

Viene definito acuto quando la situazione è intensa e transitoria, cronico quando si protrae nel tempo.

Lo stress è una reazione di tipo adattivo che l’organismo attua per affrontare i diversi momenti e cambiamenti della vita. Questa reazione può diventare fonte di malattia quando si manifesta per molto tempo, quando lo stress è vissuto in solitudine, quando non si hanno adeguate valvole di sfogo.

Quando la risposta dell’organismo è di tipo adattivo parliamo di eustress, se invece la pressione dello stressor soverchia le capacità di coping dell’organismo parliamo di distress . Il distress è un fattore predisponente alla malattia.

Lo stress vissuto in maniera cronica si può manifestare in tutti gli organi del corpo:

- a livello del cuore, tachicardia, irregolarità del battito cardiaco (extrasistole), dolore al centro del petto, ipertensione, infarto;

- a livello dei polmoni, si può manifestare asma bronchiale (crisi asmatica mantenuta dall’ansia), iperventilazione;

- a livello gastrointestinale,ci può essere la sofferenza del colon irritabile (diarrea, stipsi, dolori), dispepsia (senso di pienezza dopo il pasto, acidità, eruttazioni, dolori, ecc.), ulcera gastroduodenale (aumento della secrezione acida), morbo di Chron, crampi allo stomaco, colite;

- a livello di ghiandole ,si può manifestare l’ attivazione abnorme di ghiandole surrenali, pancreas e reni, malfunzionamento della tiroide, alcuni studi ipotizzano l’insorgenza del diabete;

- a livello uro-genitale, l’uomo può soffrire di eiaculazione precoce (nell’ansia cronica), anche le donne possono manifestare diminuzione del desiderio (nella depressione), bisogno frequente di urinare;

- a livello dermico: la pelle è il primo punto di contatto che abbiamo con il Mondo, si può quindi arrivare a soffrire di iperidrosi (eccessiva sudorazione, di solito al palmo della mano o alla pianta del piede), prurito, tricotillomania (movimenti stereotipati e ripetitivi che consistono principalmente nello strapparsi i capelli, spesso anche le ciglia, ecc.);

- a livello delle emozioni difficoltà di concentrazione, crisi di pianto, depressione, attacchi di ansia o attacchi di panico, difficoltà ad esprimersi, iperattività, confusione mentale, irritabilità, disturbi del sonno, sensazione di noia nei confronti di ogni situazione, cefalea.

I sintomi psicosomatici coinvolgono il sistema nervoso autonomo e forniscono una risposta vegetativa a situazioni di disagio psichico o di stress. Le emozioni negative, come il risentimento, il rimpianto e la preoccupazione possono mantenere il sistema nervoso autonomo (sistema simpatico) in uno stato di eccitazione e il corpo in una condizione di emergenza continua, a volte per un tempo più lungo di quello che l’organismo è in grado di sopportare. I pensieri troppo angosciosi, quindi, possono mantenere il sistema nervoso autonomo in uno stato di attivazione persistente il quale può provocare dei danni agli organi più deboli.

Il primo studioso ad essersi occupato dello stress da un punto di vista psicosomatico è stato l’americano Walter B. Cannon all’inizio del ‘900, che introdusse il concetto di reazione d’allarme descrivendone alcuni aspetti ormonali e comportamentali che aprirono la strada alla moderna psicofisiologia. Fu Cannon ha coniare il termine omeostasi per indicare il mantenimento dell’equilibrio all’interno dell’organismo, che nelle condizioni di stress si ottiene attraverso l’attività di cuore, reni, polmoni, ghiandole endocrine e sistema nervoso autonomo, necessario a preparare l’organismo a reagire alle stimolazioni esterne.

Nella seconda metà del ‘900 Hans Selye descrisse con precisione i correlati fisiologici dello stress. Egli sostenne che una serie molto ampia di agenti stressanti (o stressor) di natura fisica, tossica, infettiva o psicologica possono indurre un’unica reazione aspecifica che chiamò sindrome generale di adattamento. Essa consiste nella stimolazione della ghiandola surrenale che avviene attraverso un complesso meccanismo neuro ormonale che coinvolge una parte del cervello (l’ipotalamo) e l’ipofisi (asse ipotalamo-ipofisi-surrene). Questa condizione porta al conseguente aumento nel sangue degli ormoni prodotti dalla corteccia surrenale (in particolare il cortisolo). Selye ipotizzò la presenza di un unico mediatore ormonale o nervoso che attivasse la risposta specifica allo stress. Nel 1960 fu John Mason a sviluppare il concetto di primo mediatore, ipotizzando che la risposta specifica si attiva solo quando gli stimoli attivano una reazione emozionale. Le emozioni si svilupperebbero a livello del sistema limbico e sarebbero elaborate sul piano psicologico dalla corteccia cerebrale. Esse però attiverebbero anche l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (aumentando la produzione di cortisolo da parte della corteccia surrenale) e il sistema nervoso simpatico (stimolando la produzione di adrenalina e noradrenalina da parte della midollare del surrene). Altri ormoni coinvolti in questa risposta sono l’ormone della crescita, gli ormoni tiroidei e la prolattina, noti come gli ormoni dello stress.

Richard Lazarus parlò di stress psicologico per indicare la condizione nella quale la reazione allo stress dipende essenzialmente dalla valutazione soggettiva data dall’individuo. Condizioni stressanti apparentemente simili possono perciò assumere un significato diverso da persona a persona. Ci sono però eventi che possono essere impegnativi per tutti. Questi eventi possono essere suddivisi in due categorie: gli eventi di vita personali (matrimonio, diventare genitori, separazioni, lutti, licenziamenti, trasferimenti) o collettivi (catastrofi naturali, crisi economiche, guerre..) e gli stress quotidiani che riguardano le difficoltà che si incontrano ogni giorno.

Per George L. Engel gli eventi stressanti possono essere fondamentalmente tre:

1) Una perdita o una minaccia di perdita

2) Un danno o la minaccia di un danno

3) La frustrazione di un bisogno

 

1.5 LE RELAZIONI FAMIGLIARI

Nei pazienti affetti da malattie croniche si riscontra di frequente una situazione familiare particolare che sembra avere un’influenza sia sull’insorgenza che sul mantenimento del disturbo.

Alla fine degli anni ’50 una serie di studi condotti su bambini asmatici aveva dimostrato che i loro sintomi miglioravano solo durante il ricovero in ospedale. Questi progressi non sembravano dovuti però all’igiene o all’assenza di sostanze allergiche, ma alla lontananza dai conflitti e tensioni famigliari.

Anche Hilde Brunch, psicanalista che si occupava di anoressia e bulimia, aveva scoperto quanto i suoi pazienti fossero morbosamente legati ai propri genitori e alla famiglia in genere, al punto che non si poteva ritenere efficace una terapia che non li coinvolgesse e non lavorasse su questa relazione patologica.

Il primo ad utilizzare gli approcci sistemici e la cibernetica in psicosomatica fu Don D. Jackson, il quale trattò attraverso una terapia sistemica, famiglie di pazienti affetti da rettocolite ulcerosa, riscontrando in esse un particolare tipo di comportamento che chiamò restrittivo. Questi nuclei famigliari erano caratterizzati da relazioni impoverite per l’imposizione di regole molto rigide che impedivano l’espressione libera dei sentimenti e la manifestazione di dissensi e conflitti. Questo non permetteva lo sviluppo di una normale autonomia e limitava l’integrazione con la società esterna. Le amicizie e relazioni risultavano scarse e formali.

Jackson ipotizzò che i sintomi derivassero dallo stress familiare, ma riteneva che il paziente contribuisse con la propria malattia al mantenimento dell’equilibrio patologico familiare. Egli chiamò questo equilibrio omeostasi del sistema.

Alla fine degli anni ’60 le teorie sistemiche e cibernetiche cominciarono a diffondersi anche in Europa e in particolare in Italia dove Mara Selvini Palazzoli studiava le famiglie di pazienti affette da anoressia mentale e bulimia. In esse individuò alcune caratteristiche che sembravano favorire il disturbo:

- La tendenza a rifiutare qualsiasi affermazione fatta dagli altri

- La difficoltà di individuare un leader all’interno della famiglia

- La proibizione di ogni forma di alleanza

- L’incapacità di assumersi delle responsabilità

Il sintomo diventava l’espressione dello stile comunicativo della famiglia. In questi casi infatti i genitori tendono a negare l’autonomia della figlia riversando su di lei le proprie preoccupazioni e coprendola di attenzioni. La figlia negandosi il cibo acquisisce una posizione di potere nella relazione.

Il contributo più importante dato alla psicosomatica dalle teorie sistemiche è venuto dal pediatra e psichiatra Salvador Minuchin considerato il maggior esponente della terapia familiare strutturale.

Studiando nuclei famigliari di pazienti affetti da diabete, asma e anoressia mentale Minuchin sviluppò una teoria sull’origine dei disturbi psicosomatici basata sull’analisi delle strutture famigliari. I concetti principali del modello psicosomatico sono:

- Il paziente designato è colui che si fa carico di un malfunzionamento familiare; è lo stesso che mostra la fragilità del sistema attraverso la malattia o sintomo. Per omeostasi il sistema tende a cronicizzare quel sintomo e inconsapevolmente il membro familiare designato. E’ legato agli altri da un sistema di circolarità, i suoi sintomi influenzano il malfunzionamento familiare e viceversa;

Fattori stressanti esterni possono favorire l’insorgenza del disturbo, ma una volta che è comparso viene mantenuto omeostaticamente dalla disfunzione familiare;

- Può essere presente una predisposizione o un alterazione organica che spieghi il sintomo ma poiché il paziente reagisce in modo circolare con la famiglia, il disturbo tende a protrarsi anche dopo una adeguata terapia medica.

Minuchin suddivide i disturbi in disturbi psicosomatici primari, in cui è già presente una disfunzione biologica e l’elemento psicosomatico sta nell’esacerbazione emozionale del sintomo già esistente; e i disturbi psicosomatici secondari in cui non può essere dimostrata predisposizione fisica e l’elemento psicosomatico si realizza nella trasformazione dei conflitti emotivi in sintomi somatici.

Nelle famiglie psicosomatiche furono identificate 4 caratteristiche fondamentali:

1) Invischiamento: è la tendenza dei componenti della famiglia ad occuparsi eccessivamente gli uni degli altri. Sono intrusivi ed invadenti. I confini tra le generazioni sono poco distinti per cui si verifica una continua confusione di ruoli.

2) Iperprotettività: ogni minimo segnale di malessere spinge la famiglia ad assumere un atteggiamento eccessivamente protettivo che limita l’autonomia e lo sviluppo di interessi esterni al gruppo. In modo circolare il paziente designato avverte che la propria malattia e il proprio bisogno di dipendenza svolgono una funzione protettiva verso l’intera famiglia e questo rinforza il comportamento sintomatico.

3) Rigidità: il nucleo familiare tende a resistere ad ogni forma di cambiamento. Quando un membro cerca di modificare la propria posizione rispetto al gruppo (ad esempio un figlio che ricerca maggiore autonomia) gli altri reagiscono vanificando i suoi sforzi.

4) Evitamento dei conflitti o incapacità di risoluzione dei conflitti: sono famiglie con una tolleranza alla frustrazione piuttosto bassa e che non sopportando il disaccordo, soffocano i problemi al loro nascere o li negano.

 

Nella teoria di Minuchin vi era infine un ultimo elemento che risultava determinante, il fattore chiave era il coinvolgimento del figlio nel conflitto familiare. Il coinvolgimento è attuato in modi disfunzionali. I genitori incapaci di trattare l’uno con l’altro si alleano nel desiderio di proteggere il figlio malato evitando il conflitto in una deviazione protettiva; oppure un conflitto coniugale viene trasformato in un conflitto dei genitori sul modo di trattare il paziente.

Minuchin evidenziò tre modelli disfunzionali: la triangolazione, la coalizione genitore bambino e la digressione.

Triangolazione: ciascun genitore esige che il bambino parteggi per lui contro l’altro (ogni mossa è definita da uno dei due genitori come un attacco: il bambino è paralizzato.) Meccanismo attuato e contemporaneamente negato.

Coalizione: uno dei genitori si allea al figlio in una coalizione rigidamente definita di tipo trans-generazionale, contro l’altro genitore.

Digressione: negoziare le tensioni della coppia tramite il figlio serve a mantenere il sottosistema dei coniugi in un’illusoria armonia. I coniugi rinforzano ogni comportamento disfunzionale del figlio perché l’avere a che fare con lui li aiuta a sviare o sommergere i loro problemi di coppia nei problemi specifici della loro funzione genitoriale.

 

Minuchin propose un intervento di tipo familiare le cui finalità sono:

- Individuazione e rafforzamento dell’autonomia dei singoli membri e sottosistemi

- Il riconoscimento, l’espressione e la risoluzione dei conflitti latenti

- La stimolazione e valorizzazione di ogni potenzialità di cambiamento, di evoluzione e di crescita della famiglia.

La tendenza di queste famiglie a evitare sistematicamente ogni conflitto può ad esempio fornire un modello alternativo di spiegazione per l’alessitimia. Sulla base di ricerche svolte in Italia svolte su famiglie con bambini asmatici Luigi Onnis e Di Gennaro hanno ipotizzato che non esista tanto un’incapacità primaria a riconoscere ed esprimere le emozioni quanto la tendenza a evitarle e a soffocarle in modo tale da impedire il sorgere di conflitti e mantenere l’armonia familiare. L’alessitimia potrebbe quindi essere non tanto una caratteristica della singola persona, ma una qualità del sistema familiare. Se l’alessitimia assolve questo significato relazionale ci si dovrebbe chiedere quanto all’interno di una relazione terapeutica sarà possibile influenzare l’espressione emotiva del paziente con gli atteggiamenti, le aspettative e il controtransfert del terapeuta.

 

1.6 I SINTOMI PSICOSOMATICI IN ETA’ EVOLUTIVA

I sintomi psicosomatici nel bambino non possono essere compresi se non si tiene conto di come si sviluppano il cervello, il pensiero e le emozioni in età evolutiva.

Il neonato non sa ancora esprimersi verbalmente, il suo cervello non ha ancora raggiunto la capacità di distinguere le emozioni come altro dalle sensazioni del corpo.

Le scarse esperienze non hanno ancora permesso al cervello di costruire l’interazione e integrazione tra parte limbica, corteccia prefrontale e frontale e i lobi parietali così che non gli è ancora possibile elaborare fantasie organizzate. Il bambino presenta quindi un pensiero più prettamente concreto fino ai 12 anni.

E’ evidente quindi che più il bambino è piccolo più le emozioni e lo stress emotivo si esplicitano sul corpo, in sintomi somatici e in comportamenti disadattivi. I conflitti emotivi trovano più facilmente la loro espressione nella somatizzazione. Il sintomo somatico nel bambino acquista quindi significato realmente patologico quando è dissonante rispetto al momento evolutivo, è persistente nel tempo e rigidamente presente ed è disturbante per la sua vita quotidiana.

Secondo Winnicott il sintomo somatico è connesso al fallimento dell’integrazione psiche-soma nello sviluppo del bambino e la cura prevedrà la ricerca delle cause che hanno determinato questo blocco evolutivo. Quando il bambino vive il periodo di dipendenza totale ma inizia a muoversi naturalmente verso l’indipendenza necessita di un ambiente relazionale sicuro. Se questo non è presente avrà paura di regredire nella dipendenza perché non trova un ambiente affidabile, bensì addirittura persecutorio. Egli avvertirà quindi la minaccia di una disintegrazione o depersonalizzazione e sarà quindi costretto a difendersi con la scissione fra mente e soma.

Winnicott attribuisce quindi importanza alle relazioni famigliari intese come madre, padre e altre persone significative.

Nella terapia familiare Onnis (1985) afferma che il sintomo “riunisce in sé, ricompone, sintetizza il senso comunicativo del contesto di comunicazione e relazione in cui compare, delle sue caratteristiche e delle sue regole”. E’ quindi fondamentale non perdere mai di vista come la famiglia interagisce con la malattia.

In sintesi il sintomo del bambino deve essere letto sia nel suo specifico momento evolutivo, sia nel suo specifico contesto familiare.

Il bambino ha quindi naturalmente trovato nel sintomo fisico la sua migliore risposta, all’interno del suo sistema familiare, per esprimere il suo disagio. Nel corpo del bambino prendono voce e concretezza nodi non risolti nelle vite dei genitori, angosce rimosse, legami troncati.

La famiglia è quindi il luogo dove nasce il dolore fisico e mentale, ma è anche il luogo dove può avvenire la guarigione, purché sia possibile pensare e agire il cambiamento. Per poter lavorare in tal senso il terapeuta con il suo bagaglio di storia, vissuti, emozioni e risonanze si pone come facilitatore della comunicazione, dell’espressione delle emozioni, a supporto della genitorialità, destabilizzando ruoli e funzioni, verso un nuovo possibile equilibrio.

 

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